Cimitero degli Inglesi

Piccoli pali della luce lo attraversano, rendendo questo cimitero parte della città, creando un legame, strano, impalpabile. I passerotti e i pappagalli hanno trovato qui ombrosa ospitalità. Sopra le teste delle piccole tombe, rombano gli aerei, che volano bassi su Lisbona.  

Accanto a un piccolo bagno, che funge da ripostiglio, è in corso una discussione animata. Una spaventosa vecchia, con occhiali spessi, gonfia la sua gigantesca mole e urla orribilmente contro un uomo mingherlino, dal cranio ossuto.  La piccola cucina nascosta dietro la finistrella schiusa sulle tombe, è arredata con poveri oggetti, e trema sotto l'impeto della sua furia.

Sto qui, immobile, e passano le ore. Accanto alla panchina, leggo un epitaffio sbiadito, su marmo bianco: "A memoria de Maria Teresa de Jesus Pires. N 5-11-1939 F 31-8-1940. Eterna saudade de seus Pais". Riposa accanto a Pedro Morais Pires "antico emprecado deste cimiterio N 14-10-1912 F 8-12-1990".

E' sera, e la orrenda matrona si è placata. Adesso regna un profondo silenzio, interrotto da un battere ritmico, preciso. La donna affetta peperoni e cipolle, con un coltellaccio tenuto stretto tra le dita gonfie. E canta. Incredibilmente canta. Una voce dolce, flautata che non può essere sua. Canta una canzone della grande Amalia. Qui adesso, per me e per chi riposa finalmente in pace.

"Viver é estar-se perdido/ Nao sei se o terei ouvido/Se o li ou inventerei/dedta ou daquela maneira/Nao sou menos verdadeira/ Nesta verdade que achei/

Eu vivo a vida perdida/Sem esperanca de me encontrar/Eu vivo e vai-se-me a vida/ a tentar compreender/Sem conseguir entender/Porque me sento perdida/Porque me sinto viver/

Cantai-me o ultimo fado/Peco flores dai-me flores/Que eu jà vou enterrar/ Jà me mataram ad dores/ Do sol que eu tinha no olhar/ ficou-me a noite tao escura/Talvez fosse de chorar.

Continua...